La qualità del lavoro leva di Geico Taikisha (Avvenire – 18 gennaio 2019)

In un percorso formativo organizzato in LIUC lo scorso anno ci siamo concessi con alcuni imprenditori il privilegio di incontrare dei loro colleghi particolarmente “illuminati”. Il titolo del percorso riprendeva quello del mio ultimo libro, “Storie di ordinaria economia”, ma di fatto le 4 storie erano assolutamente straordinarie a partire da quella dedicata al gruppo Geico Taikisha e al suo presidente A. Reza Arabnia. Geico Taikisha è un gruppo italo-giapponese leader mondiale nei sistemi di verniciatura per auto, presente in 28 Paesi, con 3 centri di ricerca di cui il più importante in Italia e circa 5.000 dipendenti, ma serve incontrare le persone che vi lavorano e ammirare la sede di Cinisello Balsamo per comprendere l’originalità e la grandezza di questa esperienza imprenditoriale e della persona che la guida. «La nostra storia arriva da lontano – racconta A. Reza Arabnia mentre mi accompagna a visitare l’azienda – ed è il frutto dell’incontro tra la cultura del mio Paese d’origine, l’Iran, e i valori che mio suocero, fondatore di Geico, ci ha sempre trasmesso. La crisi degli scorsi anni ha messo a dura prova il nostro settore, ma se ne siamo usciti rafforzati è perché abbiamo continuato a farci guidare da quei valori: la cura delle persone; il coraggio e la fermezza nel dare continuità ai progetti; la coscienza che l’impresa è un bene comune. La coerenza tra questi valori e i nostri comportamenti fa la differenza e contribuisce a produrre risultati sostenibili». Sono parole che capita di ascoltare, anche impropriamente, ma pronunciate da un imprenditore che fa seguire le parole ai fatti assumono tutt’altra valenza. Così lascio che sia lui a dirmi quali progetti sente più vicini e nel frattempo resto stupito dalla bellezza degli spazi che attraverso, come il ristorante aziendale, immerso nel verde di un giardino dove spiccano anche una biblioteca e un teatro, periodicamente sede di incontri dedicati al personale, alle loro famiglie e a chi collabora con l’azienda. «Credo che oggi una delle maggiori responsabilità sia quella di costruire il nostro futuro insieme ai giovani. Mi preoccupa la situazione attuale perché tutti abbiamo contribuito a creare una cultura dove l’egoismo e la forma predominano rispetto alla sostanza. Tanti giovani arrivano al lavoro con aspettative troppo alte che si scontrano con una realtà che chiede impegno e perseveranza. Il rischio per tanti di loro è di stancarsi lungo la strada e di arrivare a 40 anni senza aver ancora costruito le basi del loro futuro. Per questo con la Fondazione Pardis (nata nel 2014 per volere della famiglia Arabnia, ndr) abbiamo dato vita a due progetti legati all’inserimento dei giovani nella nostra azienda e in altre del territorio che hanno collaborato a queste iniziative. Siamo stati contattati da circa 6000 persone, approfondito più di 500 candidature e oggi 110 di loro sono stati assunti, grazie anche ad un tirocinio finanziato dalla Fondazione». So quanto l’azienda e la Fondazione siano attente all’inserimento formativo delle persone e mi interessa capire il punto di vista di Arabnia su un tema così delicato. «Credo che i giovani abbiano bisogno di vivere accanto a persone che sappiano insegnare un mestiere e nel contempo essere dei “maestri” saggi. Servono tempo, pazienza e fermezza, serve un’impronta simile a quella del buon padre di famiglia che sa accogliere, ascoltare, guidare in un’ottica che è formativa ed educativa assieme. Sia nell’operatività di ogni giorno che su altri aspetti più personali è importante dare feedback precisi sui comportamenti da migliorare, ma ciò è possibile solo all’interno di una relazione autentica: oggi serve far sì che il lavoro diventi un luogo dove è possibile recuperare una dimensione umana e professionale, ridando ad altri ciò che la vita ha donato a noi». Lascio Cinisello ricco di ciò che ho visto e ascoltato. È un vero privilegio conoscere persone e situazioni come quelle che ho incontrato oggi e per questo faccio il possibile perché attraverso queste righe altri sappiano.

Massimo Folador

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