Il fattore umano per l’innovazione. È già scritto nel nome di Inaz (Avvenire – 7 dicembre 2018)

Non avrei mai detto che il nome Inaz fosse l’acronimo di «Innovazione aziendale» e che un nome così “asciutto” nascondesse in realtà un’impresa così ricca di sensibilità e umanità, che da oltre 70 anni è specializzata in strumenti e soluzioni per gestire il personale. Oggi però non sono in azienda ma al cinema (il perché lo capirete alla fine dell’articolo) per una chiacchierata con la presidente di Inaz, Linda Gilli: figlia del fondatore, imprenditrice e nel contempo donna con cui è piacevole parlare di un modo alto e, direi, più femminile di fare impresa.
«Ne parlo sempre volentieri – racconta Linda – perché una parte della storia di Inaz è racchiusa proprio nella volontà di tenere in equilibrio la dimensione organizzativa dell’azienda con quella legata alla gestione e alle persone. Mio padre fu il primo ad introdurre nella direzione “Risorse Umane” numerosi strumenti innovativi perché vedeva la necessità di ottimizzare e qualificare un lavoro così importante. Ma al suo fianco mia madre aveva chiaro che l’azienda poteva divenire un luogo di relazione, quasi una famiglia, nella quale i valori della responsabilità reciproca, del servizio e della cura verso gli altri fossero i cardini di ogni azione. Questa sintesi equilibrata tra maschile e femminile è stata vincente già da allora. Oggi Inaz fattura oltre 40 milioni di euro, vi collaborano circa 500 dipendenti ma ci sforziamo di vivere gli stessi valori di allora e di far sì che ognuno senta questo luogo come proprio».
In questi ultimi anni si parla molto di relazione in azienda e si sente la necessità di far crescere un ambiente dove il rispetto delle diversità possa divenire ricchezza e in cui l’intelligenza individuale sia al servizio di quella collettiva, ma c’è ancora molto da fare, a partire dalla valorizzazione delle donne e del loro contributo.
Come hai sviluppato nella tua impresa queste opportunità? «Per me forse è stato più semplice perché ho vissuto al fianco di una figura carismatica come mia madre, una vera imprenditrice. Proprio io che nutrivo ambizioni artistiche ho iniziato molto presto a cogliere la bellezza, l’utilità e la sfida del fare impresa, proseguendo nel solco di chi mi aveva preceduta e mantenendo vive alcune modalità che fanno parte della nostra cultura. Mi vengono in mente le attività di supporto che forniamo a chi sta attraversando un momento delicato della propria carriera lavorativa, come chi si prepara alla pensione, oppure le mamme nel periodo che precede e segue la maternità. Da sempre proviamo ad abbracciare alcune esigenze delle nostre persone, quelle femminili in particolare». Proprio perché si parla spesso della necessità che si rafforzi la presenza delle donne nelle imprese, mi viene naturale chiedere cosa può fare un’azienda perché questo accada nella maniera più corretta e naturale possibile. «Dopo la laurea – riprende Linda – avrei voluto fare tutt’altro ma ho capito che in questo lavoro potevo realizzarmi come donna, senza dover sacrificare alcuni miei talenti, anzi mettendoli al servizio di un progetto più grande. Credo innanzitutto che ogni donna debba avere un approccio al lavoro intellettualmente onesto e cercare nella quotidianità quell’equilibrio che le consenta di dare contemporaneamente il meglio di sé nel lavoro e in famiglia.
Ma per far sì che questo accada dovremmo far crescere anche le nostre abilità e competenze “matematiche”, tecniche, organizzative, che spesso commettiamo l’errore di “lasciare” agli uomini, precludendoci la possibilità di vedere l’azienda nel suo complesso e divenirne una parte centrale. Dobbiamo “educarci” al miglioramento continuo, ad un processo formativo che non termina mai, attraverso il quale dare forma e forza alla nostra distintività». Resto colpito dalle parole di Linda e dalla loro potenza culturale e forse non è un caso che Inaz curi da anni per i propri clienti una “Biblioteca d’impresa” o che recentemente abbia prodotto un film, “Il fattore umano” che tra poco avrò il piacere di vedere in questo cinema di Varese, il cui titolo echeggia gli stessi valori di cui abbiamo parlato e che oggi spesso fanno di un luogo di lavoro una “comunità” in grado di generare bellezza. A lungo.

Massimo Folador

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