NotaBene – Massimo Folador

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Di recente sono stato invitato da Transparency International Italia a parlare ad un convegno a Roma su un tema che sempre più sta attraversando le nostre vite: l’Intelligenza artificiale e i nuovi scenari, tanto più se rapportati al mondo aziendale, all’etica e alla compliance. Un tema oramai all’ordine del giorno ma che da poco è comparso anche nell’agenda di Bruxelles e della politica in genere. Non è bastato un convegno a dirimere un tema così vasto e articolato e certamente neanche questa breve nota, che vuole però provare a sollevare qualche riflessione.

Vorrei partire riprendendo uno dei tanti concetti pienamente espressi, che ho avuto la fortuna di ascoltare dalla voce del Prof. Ivano Dionigi durante l’inaugurazione dell’anno accademico della LIUC Università Cattaneo in cui insegno.  Nella sua prolusione il Prof. Dionigi ci ha ricordato come già nel mondo antico attraverso il mito di Prometeo, Eschilo aveva cercato di affermare l’importanza della téchne, delle arti meccaniche e della scienza nello sviluppo della società, ma aveva allo stesso tempo messo in guardia l’uomo da un uso arbitrario della stessa. Un uso che, nel racconto del mito, avrebbe poi adirato lo stesso Zeus al punto che Prometeo subirà la sua vendetta pur avendo fatto all’uomo un regalo fondamentale per la sua vita futura: il fuoco. Il messaggio già allora era chiaro: serve mantenere equilibrio tra ciò che rappresenta il portato della tecnologia, la téchne per l’appunto, e le virtù umane, l’aretè, quei principi fondamentali che nel mondo greco sono fondamentali nella ricerca del “buon vivere” pubblico e della felicità privata.

Da tempo stiamo ricevendo, grazie al progresso tecnologico, una serie innumerevole “doni” che hanno apportato dei miglioramenti impensabili fino a qualche decennio fa nella vita dell’uomo e della società. Basti pensare al progresso fatto dalla medicina e i suoi riverberi positivi sulla salute delle persone, o a quello delle telecomunicazioni, che hanno permesso di estendere le relazioni ad ogni angolo del pianeta in tempi rapidissimi o, per l’appunto, all’intelligenza artificiale e ai mille usi che già oggi ne facciamo per migliorare la qualità di alcuni ambiti della vita personale e sociale.

Tutto ciò però, esasperato dall’uso a volte eccessivo di questi stessi strumenti (basta pensare all’utilizzo spesso compulsivo del web e dei social) ci ha portato a credere che proprio nella tecnologia si nascondesse il progresso, dal verbo latino progredi, andare avanti, progredire. E a dimenticarci invece che esiste un ulteriore “progresso”, a volte più qualitativo che quantitativo, dato dal portato dei valori e delle esperienze, delle competenze e della cultura. In una parola, dalla “storia” che abbiamo alle spalle e che spesso rappresenta una dimensione fondante la nostra personalità e i tratti di una società.

È un diverbio antico quanto l’uomo, ovvero il rapporto tra ciò che è notum, ciò che già sappiamo e abbiamo vissuto e che, di conseguenza, rappresenta la tradizione, con il suo portato di sicurezza e identità. E il novum, la novità che spesso viene per l’appunto rappresentata dall’innovazione e oggi, principalmente, dalla tecnologia. Da una parte ciò che vi è di più intimo nella persona, i suoi valori per l’appunto, la sua coscienza, quell’insieme di principi morali positivi che Aristotele afferma essere iscritti nella storia della persona e che il cristianesimo riafferma; principi utili proprio nel momento del discernimento, quando siamo di fronte ai cosiddetti dilemmi etici. Dall’altra parte il novum e tutti quegli strumenti che possono arricchire gli elementi di una scelta, apportare nuovi sguardi e soluzioni ma che lasciano aperto il tema della decisione ultima. Basti pensare ai grandi temi legati oggi alla Bioetica o semplicemente alla Privacy personale, dinamiche spesso ingigantite dall’enorme accumulo di dati e informazioni che possono portare acqua al “mulino” della consapevolezza ma non a quello della decisione, che difatti spesso viene procrastinata. Un esempio è la frenata sugli strumenti di guida automatica, avvenuta dopo gli incidenti causati anche da uno uso non gestibile degli algoritmi di fronte ad alcune situazioni mai prima preventivate.

E allora, ancora una volta, mi viene in mente la cultura legata al monachesimo benedettino che tante volte abbiamo scomodato anche in queste righe e che già nel suo motto “Ora et Labora” usa una congiunzione come l’et che lega, che non crea antinomia, al posto dell’aut, che viceversa distanzia, crea opposizione. Allora di fronte alla necessità umana e sociale di progredire, di andare avanti, il problema che si pone, tanto più ad un’azienda che deve fare i conti con il suo continuo sviluppo, non è quello di scegliere tra il notum, ciò che già so e so fare, o il novum, l’innovazione ma, al contrario, cercare insistentemente e trovare ciò che lega e unisce queste due forme di pensiero e di vita. La parola “etica”, che abbiamo citato spesso nel convegno sull’intelligenza artificiale, indica proprio il comportamento di chi, di fronte ad un bivio, sa fare le scelte migliori per il bene comune e, quindi, ha bisogno delle giuste informazioni, in quantità e qualità mi viene da dire, ma anche di una capacità, a volte sovrumana, di comprendere ciò che è giusto e bene fare, per poi indirizzare ogni giorno le sue scelte e le sue azioni.