Intervista a Mauro Del Barba

2. foto Del Barba

 

Presidente di Assobenefit, Associazione per le Società Benefit

L’Onorevole Mauro Del Barba è Presidente di Assobenefit, che rappresenta dal 2018 le Società Benefit che pongono al centro della propria azione il duplice scopo di perseguire, oltre al profitto, finalità di beneficio comune.
Mauro Del Barba è anche il “padre” della legge che ha istituito nel 2015 il modello di Società Benefit in Italia.

Il modello di Società Benefit viene introdotto negli Stati Uniti per la prima volta, ma in qualche modo è un modello molto italiano, se pensiamo al nostro passato d’impresa con vocazione territoriale e sociale, recente e meno recente. È  d’accordo?

Non posso che essere d’accordo, è il motivo per il quale ho fatto la scommessa di trapiantare in Italia, e con maggior successo, un modello proveniente dal mondo anglosassone. Quando ho letto il rapporto della Rockefeller Foundation ho sùbito pensato alle nostre imprese, sapendo che gli imprenditori l’avrebbero ben accolta. D’altronde è un modello dirompente, potenzialmente un cambio di paradigma.

L’Italia con gli Stati Uniti sono stati i precursori di questo cambiamento e il nostro è stato il primo paese in Europa a introdurre a livello legislativo lo status giuridico di Società Benefit. Altri paesi si stanno adeguando o lo hanno già fatto, come Francia e Spagna. Può esistere una via europea al modello Benefit? Potrebbe essere un moltiplicatore di relazioni etiche e commerciali nel nostro Continente?

È una strada che deve essere perseguita. Il nostro modello è stato ripreso sia da Spagna che Francia, e opportunamente adattato. Con questi Paesi e associazioni di altri Stati europei stiamo lavorando per creare una rete a livello continentale che operi con le istituzioni europee.
È un percorso che deve essere fatto: il nostro modello sta dimostrando di funzionare nel cambiare un paradigma di sviluppo e l’Europa deve esserne la portatrice. Il nostro modello avrebbe anche il vantaggio di risolvere o attenuare tensioni sulla transizione sostenibile, perché basato anche sul mercato e sulle imprese.
Mi aspetto molto nei prossimi anni da questa azione sul Parlamento Europeo, più che dalle azioni sulle Assemblee dei singoli Stati.

La legge che ha istituito le Società Benefit è del 2015. Vista la vitalità del settore, ha necessità di un aggiornamento legislativo ed eventualmente in che direzione?

Ci sono tre direzioni che come Assobenefit esploriamo continuamente. La prima è quella classica degli aiuti fiscali, perché prima o poi le Società Benefit meriteranno degli aiuti ad hoc, per esempio nella forma delle fiscalità di vantaggio, come già fatto in precedenza.
Ci sono poi due aspetti peculiari delle Società Benefit: il primo è quello identitario, con il duplice scopo dello Statuto. Nella legge del 2015 gli obiettivi di beneficio comune sono stati considerati per forza di cose come molto aperti. Qualcuno sta proponendo, anche giustamente, di circoscriverli, basandosi su esperienze positive nate sul campo. È quello, per esempio, che sta avvenendo in Svizzera.
È anche il proposito della ricerca promossa da Assobenefit insieme a Goodpoint Srl Società Benefit e ad alcuni ricercatori del Politecnico di Milano con un duplice obiettivo: rafforzare l’identità delle Società Benefit approfondendo le caratteristiche di diversi cluster di “modelli benefit”, in base all’intenzione e alla capacità delle imprese di generare benefici comuni; e inoltre individuare indicatori “identificativi” del modello Benefit overall e dei diversi profili emergenti tra le Società Benefit.
Il secondo aspetto peculiare delle Società Benefit riguarda la relazione annuale d’impatto, con i due allegati che ne definiscono le caratteristiche. Oggi fioriscono le metriche e abbiamo direttive europee che devono essere recepite: trovo naturale ricercare una convergenza di linguaggio e di strumenti, che mantengano però le Società Benefit all’avanguardia.

Quali sono i benefici sulla governance dell’impresa che possono motivare i manager e gli azionisti ad abbracciare il nuovo modello d’impresa?

La legge sulle Società benefit è sostanzialmente una legge che incide sulla governance dell’impresa, dalla responsabilità degli amministratori alla gestione secondo i due scopi sociali, alla necessità di avere un responsabile dell’impatto.
Tutto ciò induce una governance più robusta e trasparente: quindi una maggiore capacità di far fronte ai rischi sociali e ambientali. Anche l’apporto dei dipendenti di un’impresa Benefit diventa più solido e “produttivo”.
Diventare Società benefit comporta quindi maggiori responsabilità verso la società, e questo sforzo viene apprezzato in termini reputazionali. Ma tutta la letteratura dimostra che questo impegno si trasforma in maggiore redditività. Anche la ricerca che noi stiamo facendo sugli obiettivi di beneficio comune ci porta a dire che essere Società Benefit mediamente produce risultati migliori negli impatti (sociali e ambientali) e nella redditività.
Le imprese italiane queste cose le sanno da molto tempo, perché è nella nostra tradizione imprenditoriale. Ma è un lungo lavoro, che va compiuto sia dalle imprese che dalle rappresentanze che dalle istituzioni.

Si può dire che il successo delle Società Benefit nel nostro Paese è anche un segno importante di trasformazione dal “basso”, senza il quale si interromperebbe il processo virtuoso verso la sostenibilità?

Le Società Benefit devono partire dal presupposto di essere protagoniste, insieme agli altri soggetti coinvolti, del cambiamento e di non subirlo. È fondamentale anche in termini di posizionamento e di futura competitività. In tutti i fenomeni che hanno comportato delle profonde trasformazioni, ci sono rischi a essere precursori, ma è molto più pericoloso essere follower. Nel cambiamento epocale di questi anni, la cultura dell’impresa italiana deve essere orgogliosa di essere tra le voci protagoniste e di esercitare insieme ad altri la leadership. Tutte le forme aggregative italiane degli interessi economici dovrebbero essere più protagoniste.
Non occorre attendere, per esempio, che la finanza definisca gli ESG o l’Europa definisca le direttive, per capire che impatto avranno. Le attività che le Società Benefit compiono oggi le posizionano molto più avanti di quanto chiederanno le direttive future alle grandi imprese e ai loro fornitori, in termini anche culturali e di attitudini.
Compito di Assobenefit è quello di imprimere forza al protagonismo delle Società Benefit concorrendo all’affermazione di un nuovo modello economico di sviluppo sostenibile; in questo senso, l’associazione dà impulso alla crescita e all’evoluzione delle SB attraverso il lavoro di ricerca coordinato dal nostro Comitato Scientifico, monitoriamo le opportunità di miglioramento normativo con l’attività di lobbying legislativa e promuoviamo la diffusione della cultura Benefit avviando partnership a livello nazionale e internazionale.

Cosa manca a suo parere al mondo imprenditoriale italiano per dare maggiore impulso all’area vasta del beneficio comune e della responsabilità d’impresa? Preparazione culturale? Strumenti? Spinta del mercato? Agevolazioni economiche?

La leva che l’Italia potrebbe più consapevolmente coltivare è quella culturale, che, se ben agita, potrebbe portare il nostro Paese nelle prime posizioni. Ho l’impressioni che gli imprenditori italiani non siano ancora del tutto consapevoli di questo.
È quindi importante l’aspetto culturale ed è importante che le associazioni di categoria siano in prima fila in questo percorso.
Anche per questo motivo, Assobenefit lavora sul mondo della consulenza in senso lato (dai commercialisti alle società di consulenza propriamente dette). In programma abbiamo l’avvio di un’Academy, per costruire insieme ai nostri soci una consapevolezza comune.