NotaBene – Massimo Folador

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Il sistema impresa e gli stakeholder

Una delle “leggende” più in voga che riguarda gli imprenditori è la loro proverbiale capacità di tramutare le idee in progetti, in imprese per l’appunto, intesa quasi come un dono di natura o, tutt’al più, caratteristica personale. Quasi come se le capacità di generare e tramutare quelle idee con lo studio, le informazioni e le conoscenze che servono perché questo accada, fossero appannaggio d’altri, o un evento fortuito. In realtà chi, come me, ha la fortuna di lavorare accanto a tanti imprenditori bravissimi sa bene che tra le loro competenze c’è sicuramente questa scintilla intuitiva e a volte visionaria ma che tanti di loro hanno alle spalle curricula scolastici importanti, si informano e si formano attraverso mirati percorsi di formazione e coaching, approfondiscono le materie più varie, si divertono ad imparare.

Di contro è anche vero, e le neuroscienze ce lo hanno dimostrato, che alcuni apprendimenti fondamentali della vita transitano dall’esperienza, dalle “mani”, al punto tale che alcuni esperimenti condotti sul cervello umano hanno reso evidente come alcune zone del nostro cervello, fondamentali nell’apprendimento, si attivino soltanto grazie all’esperienza: quel fare che dicevamo essere all’origine di tanti risultati.

Questa breve iniziale riflessione solo per evidenziare in questo NotaBene un tema a me molto caro e oramai, volenti o nolenti, molto caro a tutti: l’approccio alla sostenibilità. Un approccio a volte dovuto, a cui ci stanno portando le normative, a volte voluto, quando è per l’appunto la conoscenza o l’esperienza a permetterci di costruire nuove strategie e nuove scelte più sostenibili. Non ultimo a ragionare, finalmente, di un’impresa attraverso un’ottica di sistema, il cui sviluppo è dato, come in tutti i sistemi che funzionano, dall’integrazione delle sue parti.

Dovremmo partire da lontano per recuperare le prime riflessioni sull’impresa come sistema integrato al suo contesto e con gli attori che lo compongono. Volendo, potremmo farlo a partire da quell’Antonio Genovesi che nel 1753 istituisce la prima cattedra di economia al mondo, definendola per l’appunto “Economia Civile”, oppure dagli studi negli anni ’50 del secolo scorso di Howard Bowen, considerato il padre della Corporate Social Responsibility che, ben prima della “Teoria degli stakeholder” di Edward Freeman, aveva intuito la portata della collaborazione degli attori presenti in un sistema economico nello sviluppo del sistema stesso. 

Ma lo studio poco ha potuto in molti casi e per anni abbiamo spesso proseguito a credere l’azienda un hortus conclusus, un sistema chiuso in grado di generare da sé il valore necessario, a patto di avere le risorse per farlo e, potremmo dire, quelle per comprare il lavoro degli altri attori secondari, i collaboratori, i fornitori, il territorio. Quasi a dire che mentre alcune teorie stavano iniziando a sistematizzare l’idea di un’impresa che cresce e si consolida grazie alla collaborazione continua e sistematica con tutti gli elementi del sistema, i fatti portavano altrove. Ma sono stati gli stessi fatti, gli accadimenti a rendere esplicito ciò che le teorie di Freeman e molti altri nel frattempo avevano ribadito.

Negli ultimi anni le evoluzioni prima del mercato del cliente, con gli spostamenti avvenuti grazie anche alla globalizzazione e l’aumento delle conoscenze e delle informazioni ma, soprattutto la “carenza” di risorse nel mercato del lavoro, ultimamente anche nel mondo dei servizi e delle sub forniture, ha reso evidente come il valore generato dall’impresa è necessariamente frutto del valore generato assieme agli stakeholder. Abbiamo tutti verificato quanto l’azienda sia un cosiddetto “sistema aperto”, il cui maggiore e migliore funzionamento è dato dal funzionamento sincronico e sistematico di tutti gli elementi che compongono il sistema e che questa collaborazione va costruita e migliorata ogni giorno per evitare che i continui e inaspettati cambiamenti portati dall’esterno generino delle storture nel sistema stesso, dei rallentamenti, se non persino dei blocchi, come è già accaduto. Si pensi ad esempio al dramma dell’Ilva, un esempio da manuale, in negativo potremmo dire.

Da qui oggi, rispetto ad un approccio corretto e strategico alla sostenibilità, il peso che anche noi come Askesis diamo a tutte le attività di formazione, comunicative, strategiche e organizzative legate al miglioramento della relazione con i portatori di interesse, oggi meglio definiti come portatori di valore. Gli strumenti a disposizione sono tanti: dalla costruzione della mappa di materialità, allo stakeholder engagement; da una formazione che fino a ieri coinvolgeva i soli collaboratori, ad una che coinvolge anche i partner, i fornitori o persino i clienti; dai questionari dedicati ai fornitori o i clienti, ai focus group tesi al miglioramento delle relazioni in essere, fino all’analisi della mappa degli stakeholder, con l’identificazione di stakeholders primari e secondari, del loro impatto e dei rischi e delle opportunità collegate.

Un insieme variegato di opportunità che finalmente tornano a congiungere il portato dell’esperienza che sempre più ci sta conducendo per mano verso questi focus e la necessità di approfondirli e di conoscerli appieno, per poterli gestire in un’ottica di giusto investimento e di produzione di valore comune. Questo rende il lavoro di tutti su questi temi ancora più sfidante e avvincente perché non si tratta di conseguire un miglioramento dovuto ma un’eccellenza voluta; non è formazione o consulenza ma un lungo lavoro congiunto per assieme costruire progetti e futuro. Questo è un po’ anche ciò che deriva dal nostro nome, Askesis, e quello che proviamo a fare come parte integrante di tanti sistemi.