NotaBene – Massimo Folador

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Questo primo numero del 2024 del Diario di Askesis è ricco di contenuti. Tra questi l’intervista, breve ma molto significativa, di Federico Visconti, Rettore della Liuc, Università nella quale ho il privilegio di insegnare da diversi anni. Guidare un’università, con al centro l’economia e il lavoro, significa oggi, come e più che in passato, conoscere il mondo dell’impresa perché oggetto privilegiato della sua ricerca, ma anche fare impresa. Per questo mi fa piacere soffermarmi su alcune suggestioni che l’intervista mi ha suscitato leggendola, a partire da una delle tante considerazioni che Visconti fa ben emergere: le logiche che, ancora oggi, fondano e strutturano il sistema Italia, un’economia che, ancora una volta, in questi anni di grande complessità, ha dato prova di resilienza e di capacità di innovare, pur in presenza di una serie di debolezze intrinseche al sistema stesso.

Il Rettore si sofferma, giustamente, sulle piccole e medie imprese che innervano la nostra economia e di alcuni aspetti che le contraddistinguono. Fino ad alcuni anni fa sembrava logico puntare su un dimensionamento delle aziende che permettesse alti investimenti ed economie di scala. Tutti ricordiamo quanto in alcuni settori in particolare siano state spinte e supportate le acquisizioni, talvolta senza alcun senso dal punto di vista industriale, ma con un obiettivo prioritario di crescita dimensionale. Oggi, quasi paradossalmente, la stessa globalizzazione permette invece la presenza di altre realtà, quelle che Turani chiamava tanti anni fa le “multinazionali tascabili”, imprese che fanno rete ma, nel contempo mantengono la rapidità tipica di queste dimensioni, se ben gestite.  

Ma giustamente Federico Visconti aggiunge altro: non sono le dimensioni a fare la differenza, ma ciò che l’impresa riesce ad essere sfruttando quelle dimensioni: la sua capacità di innovare, quella di tenere fermi i suoi valori, che definiscono le caratteristiche reali dell’impresa stessa, e alcuni fondamentali che devono essere presenti nella gestione. In questo è interessante anche il riferimento alle Società Benefit come modello avanzato d’impresa, che può indirizzare delle pratiche tipiche delle aziende “sostenibili” come l’analisi del modello di business, la strategia tesa agli Stakeholders e non più solo agli Shareholders, la rendicontazione finanziaria e non, tutti elementi che oggi anche l’Europa pone in grande evidenza.

Ma ci sono due altri riferimenti che mi fa piacere riprendere perché dei driver fondamentali dell’economia italiana di ieri (e per ieri intendo anche i secoli passati, quelli nei quali il nostro Paese ha creato economia in tutta Europa) e di oggi. Il primo fa riferimento al focus che il Rettore chiama la vocazione a “fare il bello bene”. Ormai in tanti settori, a partire dalle famose 4A della nostra economia, stiamo toccando con mano come il riferimento al nostro “genius loci”, alla nostra cultura può diventare o, meglio, è già diventato il punto di partenza, la chiave di volta di tanti progetti d’impresa. Basti pensare alla crescita, quantitativa e qualitativa delle attività legate all’enogastronomia o al fashion. Creare un’azienda, dare vita ad un progetto imprenditoriale significa appunto, come dice la parola stessa, fare qualcosa di importante e gettare il cuore oltre l’ostacolo, ma perché non sia un salto nel buio serve che queste iniziative siano mosse da un’identità precisa e forte, da una progettualità che fondi la sua essenza sulla roccia e non sulla sabbia. E per noi questa roccia è rappresentata dai millenni di storia che abbiamo alle spalle e che hanno permesso al nostro paese di diventare il “Bel Paese”.

Un altro e ultimo aspetto è il riferimento ai giovani imprenditori italiani che stanno facendo impresa in questo solco ma portando spesso esperienze di studio e di lavoro all’estero e dall’estero. Professionalità nuove e capaci di approcciare il business con uno sguardo più ampio e sostenibile. Nella nostra capacità di accogliere le diversità per farle diventare sintesi compiute e più ricche, credo sia presente un altro punto di forza che non dobbiamo dimenticare. L’Italia resta il paese dei “cento campanili”, la terra che ha saputo riprendersi dal crollo di Roma anche grazie all’innesto dei “barbari”, alla cui origine vi è la fondazione di una città la cui forza è stata per secoli anche la capacità di accogliere le diversità: culturali o generazionali che fossero. Una capacità di ascolto, di confronto e di relazione che forse, tanto più se ben guidata, i giovani manifestano maggiormente e che può diventare, accanto ai mille fondamentali che Visconti ci ricorda, un elemento trainante lo sviluppo.