NotaBene – Massimo Folador – 26/05/2023

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A volte mi sembra siano trascorsi solo pochi anni da quando ero responsabile di reti di vendita, molto agguerrite e performanti per di più. Ricordi piacevoli, spesso velati di quella nostalgia che li rende divertenti ma anche utili da rammentare perché spesso, nelle pieghe della storia – la nostra storia personale – si annidano riflessioni che possono essere di grande aiuto.

Tra questi ricordi me ne viene in mente uno che mi sembra interessante legare al tema di oggi e che riguarda forse il momento più delicato per un direttore commerciale: il rito sacro del pagamento a fine mese delle provvigioni. Il momento in cui, con i tabulati del fatturato realizzato dagli agenti e le relative provvigioni, dovevo decidere il saldo definitivo da liquidare. In genere gli agenti che nel mese avevano realizzato un buon risultato non si facevano vivi, mentre iniziava la processione di quelli che si ritrovavano con fatturati bassi e, chiaramente, con provvigioni basse. Ed era un lungo racconto fatto mille storie e giustificazioni tese, per lo più, a ricevere un anticipo o ad evitare brutte figure. Il leitmotiv però era sempre uno soltanto: “ho lavorato bene, tanto, ma i risultati non sono arrivati”. Di fronte a dei dati negativi ma anche alle loro parole, mi toccava capire chi mi stesse raccontando frottole e chi invece meritava fiducia e supporto. Da lì in poi, ho sempre avuto chiaro che ad ogni azione, nel loro caso commerciale, corrisponde una reazione, un risultato, e che difficilmente un comportamento positivo genera nel tempo risultati negativi e viceversa. Ho fatto mia l’importanza di monitorare per tempo e bene i risultati, quanti/qualitativi delle mie azioni o di chi gestivo, per comprendere, al di là di mille sensazioni o scuse, la bontà delle azioni stesse.

Questo mi porta oggi a riflettere su una parola molto in uso ultimamente, “impatto”, e della volontà per alcuni, o della necessità per altri, di misurarne gli effetti. Gli strumenti che le aziende utilizzano sono diversi. Dal Report di Sostenibilità alla “Relazione d’impatto”, documento fondamentale per una Società Benefit, ma anche la “Relazione non finanziaria”, obbligatoria per le grandi società quotate.  Strumenti nati per misurare i risultati quantitativi e qualitativi che le scelte aziendali e i relativi comportamenti hanno generato, tanto più se orientati ad una strategia di sostenibilità. È interessante quello che spesso è accaduto a riguardo, ovvero come sia stata la normativa a spingere verso un utilizzo di questi strumenti, prima che una nostra scelta consapevole e voluta profondamente. E provo a spiegarmi meglio. Quando una realtà aziendale, piccola o grande che sia, decide di intraprendere un percorso sulla sostenibilità dovrebbe avere ben compreso che la sua è una scelta che presuppone una discesa in campo ben precisa. Una strategia motivata dalla certezza che il contesto economico e sociale nel quale viviamo chiede un cambio di paradigma e una sempre maggiore attenzione alla relazione con tutti i portatori di interesse: collaboratori, partner, comunità locale, cliente, ambiente. È chiaro che questa scelta presuppone altre finalità accanto a quelle legate alle attività tradizionali, altri obiettivi e, di conseguenza, altre modalità, altri strumenti. Per questo diventa fondamentale e necessario valutare e monitorare gli “impatti” di queste azioni, così come da sempre facciamo quando monitoriamo l’impatto degli investimenti sui clienti o sulla produzione o sul patrimonio. Non solo. I sacri testi che provengono dal controllo di gestione dicono che “è migliorabile solo ciò che è misurabile”, il che significa che se l’ottica di un’impresa alle prese con la sostenibilità resta il miglioramento continuo, i processi e gli strumenti di rendicontazione diventano il punto di arrivo e di partenza di ogni processo di miglioramento e non solo uno strumento che deve essere usato per ottemperare ad una legge. Misurare serve a migliorare e se l’impatto riguarda tutti gli stakeholders è proprio la relazione con loro che dovrò monitorare.

Questo è l’approccio che proviamo ad avere in ogni attività di rendicontazione che gestiamo come Askesis, facendo sì che, accanto alle competenze necessarie affinché questi strumenti assolvano al loro ruolo, si crei una reale “cultura del bene comune”, vera sfida per lo sviluppo e il futuro sostenibile delle nostre imprese.