Boomers con(tro) New Gen

 

Non è il caso di addentrarci nella discussione se sia corretto o meno etichettare la popolazione mondiale in categorie generazionali che portano nomi quali silenti, boomer, Xers, Millennial, Zoomers, generazione vetro. Sta di fatto che esistono delle differenze: essere cresciuti al tempo dei Beatles non è la stessa cosa che crescere ascoltando Rihanna. Aver vissuto l’influenza spagnola non è paragonabile ad aver vissuto il lockdown del 2020.

 

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Il contesto sociale, economico, politico e tecnologico influenza il modo in cui gli adolescenti di un certo periodo storico formano una visione sul presente e sul futuro, danno vita a convinzioni, miti, valori. Le generazioni possono dunque pensare, comunicare, comportarsi in modo diverso.

Negare l’esistenza di una varietà generazionale significa da una parte perdere le opportunità generate dal valorizzare le differenze generazionali. Dall’altra potrebbe costare molto alla sostenibilità di un’organizzazione. Gli studi ci dicono infatti che maggiore è la diversità (di cui quella generazionale è solo un esempio) maggiore è il valore che è possibile creare.

Le generazioni guardano alle opportunità e ai problemi da punti di vista diversi: se siamo capaci di integrare queste diversità di veduta possiamo avere la possibilità di identificare soluzioni inedite più efficaci o efficienti, innovare, evolvere, attrarre nuovi investimenti e, perché no, nuovi collaboratori.

La scarsa conoscenza delle generazioni, dei loro valori, di ciò che ritengono importante invece si traduce in conflitti, errori di comunicazione, resistenza al cambiamento, fuga dei collaboratori, specialmente dei più giovani.

In altre parole significa minacciare la sostenibilità futura dell’organizzazione.

È importante tenere a mente l’inverno demografico che il nostro Paese, come altri, sta affrontando. Quando ci si chiede “Ma dove sono finiti i giovani?” o ci si lancia in affermazioni del tipo “I giovani sono pigri, preferiscono stare sul divano di casa”, è utile prendere consapevolezza che di giovani ce ne sono pochi.

In Italia abbiamo circa 14 milioni di Baby Boomer (nati tra il 1946 e il 1964), 14.3 milioni di Xers (nati tra il 1965 e il 1979), 11 milioni di Millennials (nati tra il 1980 e il 1994), 8.8 milioni di Zoomers (nati tra 1995 e il 2010) e per ora solo 5 milioni di Apha (nati tra il 2011-2025).

Diventa sempre più importante conoscere le generazioni, in particolare quelle più giovani, perché è necessario sapere dove cercarle, come valorizzarle e trattenerle e mettere in campo le giuste iniziative. Academy, SML, gamification, sabbatical, job rotation sono solo alcuni esempi.

Prima però di dare sfogo alla fantasia delle soluzioni, serve fare in modo che la cultura aziendale possa ospitarle. Serve una cultura aziendale fondata innanzitutto sulla relazione su misura. Per quanto gli studi ci propongano degli stereotipi affibbiati a ciascuna delle generazioni che possono aiutarci a comprenderle, non dobbiamo dimenticare che la statistica non è rappresentativa del singolo individuo. C’è bisogno di mettersi in ascolto delle persone con cui si collabora (una per una idealmente) per poi individuare il giusto “investment mix” di iniziative. Siccome siamo diversi, non ve ne sarà di iniziativa una che risolva tutti i problemi, ci si dovrà dunque muovere in più direzioni.

Serve una cultura aziendale aperta ai punti di vista diversi, dove le persone sono invitate a confrontarsi. È utile dunque lavorare sulla comunicazione e sulla gestione del confronto per trarre il massimo vantaggio da ciò che senior e junior possono portare al tavolo.

 

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Serve una cultura aziendale che accolga l’errore come momento positivo, come opportunità di miglioramento personale ma anche organizzativo. Un’azienda che non fa errori è un’azienda che non sta provando cose nuove, che non innova e che domani pertanto rischia di non esistere più. Bisogna facilitare un clima lavorativo di fiducia per cui al verificarsi di un errore non si punta il dito contro nessuno, piuttosto si aiuta la persona responsabile a riflettere su quanto accaduto e a migliorare.

Per poter fare errori bisogna però avere il coraggio di osare, di spingersi oltre ciò che non si conosce. Provare cose nuove può far paura, soprattutto alle nuove generazioni che si dice abbiano difficoltà ad accettare l’eventuale insuccesso. Al tempo stesso provare cose nuove è più difficile per chi ha un suo metodo già rodato ed efficace. Accompagnare i più giovani ad esplorare nuovi mondi così come aiutare i più senior a rompere gli schemi comuni e consolidati può essere un vantaggio per quelle aziende che hanno desiderio di evolvere.

È necessario infine aiutare i più senior a lasciare il giusto spazio ai più giovani, gradualmente. Troppe volte si cade nella tentazione di sostituirsi ai più giovani, un po’ perché facendo le cose in prima persona si ottiene ciò che si vuole in minor tempo, a volte invece per evitare al giovane un possibile errore e la frustrazione della “caduta”.

Serve farsi leader generativi, sparire con gradualità aiutando i più giovani nello sviluppo di quelle competenze che li porterà a farsi avanti e raccogliere un giorno il testimone.

Maria Elettra Favotto