Intervista ad Angelo Guerini

2. foto Guerini

 

“Il mondo imprenditoriale italiano deve rafforzarsi sul piano culturale”

Intervista ad Angelo Guerini, editore e Presidente di “Edizioni Guerini e Associati”

Angelo Guerini ha fondato nel 1987 la casa editrice Guerini e Associati e, nel 2013, con lo spin off del settore manageriale della casa madre, Guerini Next. In questi anni, ha tra l’altro contribuito in misura significativa allo sviluppo della cultura manageriale del Paese.

Edizioni Guerini e Associati, con quasi quarant’anni di vita, è un marchio storico dell’editoria italiana. L’avventura imprenditoriale di Guerini è nata dalla convinzione che fosse necessario creare uno spazio d’incontro tra riflessione universitaria e saggistica di approfondimento.

È relativamente recente l’introduzione, tra gli obiettivi delle istituzioni accademiche, del concetto di Terza missione. Ciò per indicare “l’insieme delle attività con le quali l’Università entra in interazione diretta con la società, ne favorisce lo sviluppo economico, culturale e sociale, attraverso …la circolazione della conoscenza prodotta…”. Per alcuni aspetti, possiamo dire di essere stati precursori, ponendo in questa convinzione la nostra cifra distintiva. Questa funzione, questa missione mi pare tanto più importante, tanto più significativa in questi periodi, in cui paiono crescere analfabetismi funzionali e di ritorno. Censis e Ocse ne danno drammatica certificazione.

“Sapere per fare” si potrebbe definire come il “claim” della casa editrice. La definizione, che richiama il “conoscere per deliberare” di Einaudi, lega la cultura e la conoscenza al sapere pratico e concreto, ma anche alla coscienza e alla responsabilità che queste comportano.

La nostra impresa editoriale ha cercato di perseguire questo principio, “Sapere per fare”, in ogni ambito, non soltanto nella letteratura manageriale. Vogliamo rappresentare e proporre un sapere che non sia meramente astratto, contemplativo, ma che si ponga come strumento di penetrazione della realtà, di comprensione scevra da preconcetti ideologici e perciò capace di cambiarla in meglio.


Una parte importante delle pubblicazioni della Guerini riguarda i testi per il mondo delle organizzazioni. Dal suo osservatorio, come ha visto mutare la cultura manageriale italiana, dal mondo post-fordista a quello della lean organization?

Paradossalmente, Lean thinking, il seminale volume di Womack e Jones, che ha dato origine a una lunga serie di pubblicazioni, nasce nel lontano 1998 dalla collaborazione con ISVOR, l’allora società di formazione della galassia Fiat, ovvero di quello che poteva essere considerato il “campione nazionale” dell’organizzazione fordista. La sensibilità, l’attenzione degli studiosi e dei manager più avveduti e sensibili all’innovazione, al cambiamento dei mercati e dei paradigmi organizzativi, non conosceva pregiudizi legati a dimensione o a principi organizzativi adottati. Ho peraltro sempre immaginato, certo con una grossolana semplificazione, l’approccio lean come la coniugazione tra la cultura, il saper fare dell’artigiano, con la dimensione industriale di larga scala. Quel che oggi forse manca è questa combinazione, perché mi pare sia venuto meno uno dei due poli: grandi imprese dotate di autonoma capacità di elaborazione culturale, anche perché munite di importanti Centri Studi, innervati da grandi ceti intellettuali. Ora spesso sostituiti da enormi produttori seriali di ricette standardizzate, di formule passepartout, questi sì, per alcuni aspetti, intrinsecamente fordisti.


E come si colloca in questo quadro la linea culturale dedicata ai valori, alla sostenibilità e all’impresa saggia e frugale (per richiamare due volumi) e rappresentata anche dai libri di Massimo Folador – di cui Guerini è dall’inizio l’editore – sull’economia integrale?

Vedo uno strettissimo legame. Vedo il superamento dello short termismo, la sinistra logica che punta non a creare ma a estrarre valore, che vede unicamente gli interessi di brevissimo periodo degli shareholder e non anche quelli più generali degli stakeholder, delle persone, delle comunità e dei territori che a un’impresa fanno riferimento e che all’impresa danno energia, vigore, risorse. Che ne costituiscono l’ambiente vitale. I libri di Massimo Folador mi sembrano rappresentare il coronamento concettuale della spinta, del desiderio di costruire e consolidare un modo diverso di fare impresa. A mio parere la bronzea affermazione di Nonaka, secondo cui “nessuna impresa sopravvive nel lungo periodo se non dà valore ai consumatori, …se non ha scopi morali, se non vive in armonia con la società e non persegue il bene comune come stile di vita” trova compimento nel quadro descritto da Folador nelle sue opere e nel richiamo alle fondamenta benedettine, in quell’ “etica del lavoro i cui valori fondativi prevedono l’integrazione tra un giusto profitto e la valorizzazione delle persone, delle comunità e dell’ambiente”. La frugalità, l’eliminazione dello spreco è, se posso dire, il catalizzatore di questi approcci.


Edizioni Guerini e Associati è nata da un gruppo di soci italiani. Possiamo dire che la via dell’impresa familiare italiana ha una sua peculiarità e continua ad avere un ruolo fondamentale nel panorama industriale?

Guerini e Associati non è un’iniziativa di stampo familiare, ma nasce da una comunità, da un gruppo di persone che condividevano e condividono punti di vista, ideali e aspirazioni, in una prospettiva non indirizzata al rendimento immediato, ma animata da una tensione di lungo respiro, volta al superamento della contrapposizione tra cultura accademica e cultura diffusa nel territorio. Nel corso del tempo, la Casa editrice ha ovviamente mutato assetti e collaboratori, ma è rimasto intatto il sistema di valori, al cui centro metto la trasparenza, nei rapporti interni e nella relazione con l’esterno. Trasparenza come stile fondativo, che vuol dire fiducia, allineamento agli stessi obiettivi, perseguimento del bene comune, anche all’interno dell’azienda.


A suo parere, cosa manca al mondo imprenditoriale italiano per dare maggiore impulso all’area vasta della sostenibilità e della responsabilità d’impresa? Preparazione culturale? Formazione? Incentivi? Strumenti?

Il mondo imprenditoriale italiano deve rafforzarsi sul piano culturale. Per cultura intendo un sistema valoriale che si traduce in uno specifico quadro culturale. Certo, poi servono anche gli incentivi, ma senza un sistema valoriale intimo, profondo e vissuto, non stentoreamente solo dichiarato, gli incentivi sono solo spreco.

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